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L’accanimento fiscale, nuovo spettro per le povere onlus

La riflessione di un membro dell’Agenzia per le onlus

di Salvatore Pettinato

La cospicua esperienza recentemente maturata dall?Agenzia delle onlus nel rivedere tecnicamente le proposte di cancellazione dall?Anagrafe speciale onlus, estesa su un volume di circa 2mila soggetti, ha reso anche numericamente evidente un dato oggettivo che molti avvertono da anni: cioè, l?eccessiva ipercomplessità del regime fiscale vigente per i soggetti non profit. E, con essa, la semplice considerazione che questa situazione non possiede fondamenti e giustificazioni di sorta. Il che non è splendido per un paese civile moderno. Eccesso di zelo È uno stato di fatto che si aggrava con il passare del tempo e con l?avvento di continue nuove norme integrative dell?effimera legge Zamagni del 1997, la cui metabolizzazione risulta ancora latitante anche in tante sedi professionali. Tra i moltissimi statuti di associazioni e fondazioni bocciati nelle operazioni sopra indicate, per esempio, figurano decine e decine di casi in cui l?eccesso di zelo nel descrivere le attività svolte dalla onlus comportava in modo evidente la violazione del noto principio di esclusività solidaristica, ovvero il divieto di svolgere attività estranee al dlgs 460, per non parlare delle miriadi di strutture sportive, o formative e culturali prive di ogni riferimento statutario ai soggetti svantaggiati, o di presupposti qualificativi alternativi. Mentre la consapevolezza del ?dilettantismo? a volte eccessivo si fa continua strada, ecco che l?Erario ha cominciato, proprio negli ultimi tempi, a fare ?esperienze? con onlus nazionali frazionate in molte sedi, ipotizzando ?cancellazioni? di strutture che sono addirittura prive di autonomia soggettiva e che dunque all?Anagrafe onlus non si potevano neanche iscrivere. Le complicazioni e gli equivoci sul tema, si noti, hanno spesso, nella pratica, degli effetti letali per l?ente, perché la negazione di qualifica onlus porta con sé, automatica, l?iscrivibilità a ruolo di tutte le imposte erroneamente ?risparmiate? e delle alte sanzioni che la legge ha commisurato, all?atto del concepimento, ai delinquenziali comportamenti di chi si mette in tasca i soldi sottratti allo Stato. Un comportamento, questo, che per definizione gli enti senza scopo di lucro non realizzano mai perché ogni risorsa ?avanzata? è destinata direttamente, o indirettamente, all?ambito di bisognosi che si assiste, onde anche la semplice equiparazione sanzionatoria, sopra menzionata, determina un?ulteriore iniquità. Insomma, al di là dei dati teorici e giuridici, quello che emerge dai fatti è che il contrapporre al ?muro ideale? che la fiscalità rappresenta, gli enti in parola, alla luce di quello che è lo stato legislativo e amministrativo italiano, in un contesto sociale caratterizzato sostanzialmente da problemi immani, che determinano sofferenze e privazioni, rappresenta una pretesa ingiusta ed eccessiva del sistema. Essa appare, del resto, un semplice risultato astratto di teorici principi di parità giuridica coltivati in ambiti asettici, privi di contatto con la realtà vissuta del mondo. Si tratta di una pretesa capace di far dubitare dell?equilibrio e della profondità del sistema stesso, perché in un contesto, com?è quello odierno, che rende impegnativa anche la vita dei cosiddetti cittadini comuni (redditivi, sani, proprietari, nel fiore degli anni) sarebbe sacrosanto, non doveroso, gestire in termini illuminati e nuovi i fattori giuridici che riguardano i soggetti assistenziali e solidaristici. I ritardi legislativi, invece, e i rinvii a ripetizione (si guardi alla riforma del codice o all?integrazione della Zamagni), inducono a pensare che il terzo settore è proprio inviso alle forze politiche, forse per l?assolutezza positiva del suo messaggio, che trova ostilità perché esso è inevitabilmente posto a confronto le inadempienze di quasi tutte le stesse forze politiche.


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